“Piccoli miracoli”

di Vitta Halberstam

 

Prefazione

Sto per finire il mio nuovo libro, e voglio concluderlo con la parola “Fine”. Ma all’improvviso, con mia grande sorpresa, una voce interiore mi dice che invece di scrivere “Fine” devo scrivere “Inizio”. Mmm... Be’, ha perfettamente senso! Perché, se le persone che stanno leggendo lo hanno fatto con attenzione e ne hanno compreso il messaggio, allora, auspicabilmente, sarà per loro l’inizio di una nuova vita!

    Poi incomincio a domandarmi... da dove viene l’impulso a scrivere “Inizio”? Non era mia intenzione, di questo sono sicuro. Qualcosa, o qualcuno, mi ha spinto a scrivere quella parola. Forse è stato Dio.

Spesso non so che cosa ho intenzione di scrivere finché non lo vedo nero su bianco. Mi capitava di esclamare ad alta voce: “Dio solo sa da dove mi è venuta questa idea!” Adesso lo so.

    Una volta, quando avevo circa quattro anni, sono quasi morto soffocato da un pezzo di un piccolo giocattolo che avevo smontato. Ero solo nella mia stanza e non c’era nessun adulto nelle vicinanze. Ero lì, stavo soffocando e, all’improvviso, per nessuna ragione apparente, ho vomitato. I pezzettini del giocattolo mi sono usciti dalla gola e ho potuto riprendere a respirare. Più tardi mi sono chiesto, sorpreso: “Chi è stato? Chi mi ha fatto vomitare? E stato Dio, un angelo o uno spirito entrato in scena in quel momento?”

    Ma questo libro non è su di me o su strani avvenimenti o sul destino o sulla colpa o sul fallimento. Questo libro è sulle coincidenze, sulle azioni apparentemente casuali che si rivelano essere niente affatto casuali. Come accadono, a chi e perché? C’è Dio dietro queste “coincidenze”?

    Credo che niente sia una “coincidenza”. Fa tutto parte della creazione e del disegno divino e della nostra reazione. Dobbiamo soltanto essere disponibili per riuscire a vederlo. Dobbiamo desiderarlo e partecipare alla creazione. Per esempio, quando sono nato, l’impiegata che doveva compilare il certificato di nascita chiese ai miei genitori come volevano chiamarmi. Il nome che avevano scelto per me era “Benzion-figlio di Shabsi”, ma l’uomo non capì il nome ebraico e ne trascrisse una sua interpretazione.

    Quindi il mio nome, come appare sul certificato di nascita, è “Shepherd”, pastore. Dio aveva già deciso la mia vocazione; essere un pastore della comunità, un leader spirituale e intellettuale.

    Una coincidenza che mi accade spesso è che trovo dei penny ovunque vada. Quando entro in una camera d’albergo per la prima volta, ed è stata appena pulita e tirata a lucido, mi capita di trovare un penny vicino alla porta. All’aeroporto, al ristorante, anche seduto sui miei bagagli, mi capita di notare un penny non lontano da me. Ora, che cosa significa? Che cosa c’è scritto sulle monete da un penny? “Confidiamo in Dio.” Non è il valore dei soldi a esser importante, ma il messaggio che vi è coniato, il suo ricordarmi che è Dio a dirigere le mie energie, che Dio è qui e io sono sul cammino assegnatomi.

    Ecco un altro esempio: mia moglie e io abbiamo un gatto che si chiama Miracle, miracolo, e un giorno ave­vamo deciso di prendergli un compagno. La gatta di un nostro vicino aveva avuto una cucciolata e fummo invi­tati a scegliere il micino che ci piaceva di più. Portai a casa un gattino dall’aria adorabile, ma lui e mia moglie non andavano d’accordo. Dovetti allora riportarlo al proprietario. Mia moglie era molto dispiaciuta, ma il vi­cino ci assicurò che non c’era problema, tutti gli altri micini erano stati adottati — tutti tranne uno, in realtà. In qualche modo pareva che a nessuno piacesse que­st’ultima gattina, perché era cresciuta in un granaio, aveva il pelo marrone scuro e aveva molta paura della gente.

    “Oh, come si chiama?” domandai. Il proprietario con noncuranza mi rispose: “Penny”. Non avevo intenzione di ripetere l’esperimento una seconda volta, ma nel mo­mento in cui sentii quel nome, seppi che era la cosa giu­sta da fare. Adottammo Penny, e lei e Miracle, adesso, vanno d’accordissimo. Era stata chiamata Penny da un bambino che l’aveva vista nascere e aveva detto: “Sem­bra proprio un penny”.

    Allora, come mai queste coincidenze si verificano per certe persone e non per altre? Tendo a cercare le coin­cidenze nella mia vita e ho fede, quindi le trovo. Se si ri­mane radicati unicamente all’intelletto e si trascurano gli aspetti spirituali della vita, le coincidenze non avven­gono. Se si impara a essere più coscienti, più consape­voli di ciò che accade nel proprio corpo e ci si ferma ad ascoltare l’universo, se si continua a tenere diari, a scri­vere poesie, allora le coincidenze avvengono. Se ci si comporta come se ci fossero coincidenze, se le si aspet­ta, quando si è pronti a riceverle, allora avvengono. Si sviluppa un sesto senso per le coincidenze.

    Questo è lo stesso principio di “comportati come se fossi la persona che vuoi diventare”, e diventerai quella persona! Una volta l’ho dimostrato a uno studente scettico circa la nostra capacità di creare coincidenze. Stavo facendo lezione in una scuola a un’ora di macchi­na da casa, e alla fine dissi al ragazzo che tornava in macchina con me: “Ti porterò a casa facendo una stra­da completamente diversa dalla solita per mostrarti una cosa”. Infatti, a circa un chilometro da casa mia, incro­ciai mia moglie che stava guidando la sua auto, e lei in­cominciò a salutarci con la mano, a farci dei segni. Ab­bassai il finestrino e lei disse: “Oh, tesoro, sono così contenta di averti incontrato. Volevo proprio parlarti! Volevo cambiare l’orario della partita di tennis e non sapevo come rintracciarti”. Il ragazzo rimase sbalordi­to. Per il semplice fatto che avevo fede e sapevo che si sarebbe verificata una coincidenza, la coincidenza si era verificata.

Quindi, lasciatevi trasportare dalla corrente. Lasciate che le cose accadano. Mantenete un certo ritmo e una certa armonia con l’universo. Non cercate di affrettare le cose. Entrate nei progetti dell’universo. E fate prati­ca! Quando squilla il telefono, prima di sollevare la cor­netta, dite ad alta voce chi pensate che sia. Dopo qual­che tempo scoprirete che indovinate ogni volta!

    Nostra figlia Caroline è ancora più brava. Sa quando il telefono sta per squillare ed è eccezionale al casinò!

    Una volta un mio paziente aveva un appuntamento con un altro medico ed era seduto nel suo studio, in attesa di essere ricevuto. Il medico era in ritardo e la sala d’attesa era piena di persone arrabbiate. Dopo un’ora, molti di loro si alzarono e se ne andarono.

    Il mio paziente fu tentato di fare altrettanto, ma qualcosa lo fermò. Per tutta l’ora successiva continuò a guardare l’orologio, chiedendosi se non sarebbe stato meglio rimandare la visita. Alla fine, dopo due ore, l’infermiera entrò nella stanza e chiamò: “Kirimedjian!”*

    Lui balzò in piedi, ma rimase sorpreso nel vedere che dall’altra parte della stanza anche un altro si era alzato. I due si fissarono sconvolti, perché è un nome piuttosto strano e insolito. Cosa avevano in comune due uomini che portavano lo stesso nome particolare e che si trovavano nella sala d’attesa dello stesso medico alla stessa ora? Incuriosito dall’omonimia il mio paziente gli si avvicinò e scoprì.., che era suo padre, che non vedeva da ventidue anni! La madre aveva divorziato quando lui era molto piccolo. A quel tempo suo padre era un alcolizzato e un violento, così non aveva ottenuto il diritto di vedere il figlio. Kirimedjian era cresciuto senza sapere niente di suo padre, al punto che non sapeva nemmeno che aspetto avesse fino a quel momento nella sala d’attesa del dottore! Quindi, questo è il punto: se il mio paziente avesse ceduto all’impulso di andarsene non avrebbe mai incontrato il padre, ma dal momento che ha permesso a se stesso di “seguire la corrente” e ha at­teso, ha potuto riconciliarsi con il genitore.

    Un paio di anni fa insegnavo in un college e volevo che i miei studenti si confrontassero con la morte. Così inventai un esercizio in cui chiedevo di scrivere i certifi­cati di decesso. Spiegai che avrebbero dovuto scrivere l’età e la causa. Mi unii a loro in questo esercizio e scris­si sul mio certificato che sarei morto all’età di novantot­to anni cadendo da una scala mentre lavoravo sul tetto di casa, anche se i miei famigliari mi avevano detto di non farlo.

    Molti anni dopo mi arrampicai sul tetto con un seghetto per tagliare qualche ramo e pulire le grondaie prima delle vacanze.

    Mente scendevo, la scala si ruppe. Atterrai in piedi poi caddi all’indietro battendo la testa, ma non mi ferii gravemente. Di nuovo, torno a chiede­re: come è successo? Chi o cosa mi ha guidato o protet­to permettendomi di arrivare a terra sano e salvo? Uno spirito o un angelo molto attento, la fortuna, l’intuito, i riflessi, una coincidenza o Dio sa cosa?

 

    Lascerà a voi la risposta. Io ho la mia esperienza e ho già la risposta.

Bernie Siegel, Ph.

 

INTRODUZIONE

    Ci sono momenti nella vita in cui ci fermiamo un attimo e intuiamo la presenza di Dio. A volte ac­cade quando vediamo il viso luminoso di un bambino che dorme, a volte quando sentiamo un frammento di melodia che risveglia un desiderio sconosciuto. Questi momenti — che risplendono allettanti per un solo istan­te e poi svaniscono in un lampo — ci comunicano un sen­so del Divino.

    Ogni foglia, ogni filo d’erba ha in sé l’impronta di Dio. Ma di questi tempi la maggior parte di noi vive in grandi città conducendo una vita frenetica, e ha perso il legame con la terra che arricchiva i nostri antenati e li aiutava a vedere Dio. Oscurati dai grattacieli e dalla fo­schia dell’aria inquinata, riusciamo a malapena a vedere le stelle, e meno che mai a intuire una Presenza Divina.

    Conducendo esistenze di solitudine e disperazione, come molti di noi fanno, come possiamo riuscire a ri­connetterci a Dio, agli altri, a noi stessi?

    Oltre alla natura ci sono maestri — altre esperienze che possono aiutarci nel nostro viaggio. Queste guide, fari illuminanti nel labirinto selvaggio in cui vaghiamo, ci offrono gentili indicazioni e affettuosi incoraggia­menti, mentre con fermezza ci spingono sul sentiero che forse abbiamo perduto.

    Queste esperienze epifaniche, comuni a tutti, posso­no condurci al nostro destino non ancora compiuto. Av­vengono nel grande flusso di energia universale, e ne­cessitano solo della nostra viva consapevolezza della lo­ro presenza. Quando acquisiamo tale consapevolezza e affiniamo la nostra capacità percettiva, queste esperien­ze possono diventare doni vitali di crescita e trasforma­zione. Vivere questi momenti nella loro pienezza e ric­chezza, essere consapevoli del loro messaggio e sentire la loro musica, significa davvero conoscere Dio. E, tra queste esperienze, spicca il fenomeno che chiamiamo coincidenze.

    Le coincidenze sono state variamente definite come “fortuna”, “caso”, “qualcosa al di fuori dell’ordinario”, o “un casuale convergere di eventi inspiegabili che sfug­gono alla nostra razionalità”. Noi, invece, crediamo fer­mamente che le coincidenze siano molto più che sem­plici casualità o scherzi del destino. Per noi le coinci­denze sono benedizioni, la manna spirituale mandata da schiere di angeli a illuminarci il Cammino. Sono esem­pi vividi e sconvolgenti della Divina Provvidenza. Sono atti di Dio.

    E’ stato spesso raccontato che quando il poeta Wil­liam Blake contemplava l’alba, salutava il suo arrivo con un esuberante grido: “Santa! Santa! Santa!” E così che ci sentiamo quando le coincidenze si manifestano nelle nostre vite.

    sublimi miracoli compiuti in gran numero Migliaia di anni fa Dio parlava all’uomo attraverso e in modo grandioso. Nei tempi moderni ci viene negato questo privilegio. Oggi siamo alle prese con un Dio nascosto, un Dio celato, un Dio che non separa le acque, non fer­ma il sole e non trasforma le persone in statue di sale. Invece, abbiamo le coincidenze — miracoli di ogni gior­no, più piccoli, più intimi. Perché quando ha luogo una coincidenza, non è niente di più e niente di meno che Dio che ci tocca sulla spalla sussurrando, o a volte addi­rittura gridando: “Sono qui! Sono al tuo fianco!”

    “Le coincidenze”, ha detto una volta la scrittrice Do­ris Lessing, “sono lo stratagemma di Dio per restare anonimo.” Piccoli miracoli cerca di spogliare quella fac­ciata di anonimato e di dimostrare che questi momenti apparentemente casuali sono invece espressioni piene e vitali della creazione di Dio. Nelle nostre vite personali siamo state molte volte toccate dallo splendore di Dio.

    L’obiettivo del libro è di condividere coi lettori le gene­rose benedizioni di questa luce celestiale.

    Le coincidenze, inoltre, possono essere viste come opportunità per cambiare, chiavi vitali per espandere la nostra consapevolezza. Se impareremo a essere più in sintonia con le coincidenze, più consci del loro signifi­cato, allora ci evolveremo a un livello più illuminato dell’esistenza. Quando integriamo l’esperienza e il si­gnificato delle coincidenze nelle nostre vite, ci apriamo alle fertili possibilità, alle benedizioni e al senso di ar­monia con l’universo che ci vengono offerte.

    Abbiamo scritto questo libro spinte da una profonda ammirazione per il modo in cui Dio ci viene in aiuto. Entrambi i nostri padri sono sopravvissuti all’Olocausto e le loro vite sono state salvate da inspiegabili, incredi­bili coincidenze. Quando eravamo piccole, ci hanno raccontato le storie dei miracoli che hanno permeato le loro odissee. La sopravvivenza dei nostri padri non è stata una conseguenza del caso ma piuttosto il risultato della divina provvidenza. Anche se questi due grandi uomini sono entrambi morti più di dieci anni fa, il mes­saggio e l’eredità spirituale che ci hanno trasmesso con­tinuano a vivere.

    Oggi, sia Judith che io continuiamo a filtrare il disor­dinato numero di coincidenze che avvengono nelle no­stre vite attraverso un prisma spirituale. Separatamente, ciascuna di noi due si è incamminata lungo un sentiero di ricerca del loro significato più profondo da un punto di vista spirituale piuttosto che da un punto di vista psi­cologico o paranormale.

    Più diventiamo consapevoli più ci rendiamo conto che le coincidenze si manifestano continuamente nelle nostre vite, a volte a una velocità stordente ma senza dubbio sempre entusiasmante.

    Tutte le storie contenute in Piccoli miracoli sono vere. Alcune sono consolatorie, altre strane, altre inquietanti. Certe coincidenze sono un richiamo verso una direzio­ne che può cambiare la vita o addirittura salvarla. Alcu­ne storie dimostrano il modo in cui l’universo risponde ad alcune domande. E altre ancora offrono segni al pro­tagonista, una conferma che si trova sulla strada giusta o ha fatto la cosa giusta. Ma per quanto le storie trasmet­tano con forza la presenza di Dio, offrono allo stesso tempo profondi insegnamenti e preziose lezioni morali che possono arricchire il nostro spirito e spingerci a vi­vere le nostre vite in modo più pieno. Per aiutarvi nel viaggio, abbiamo interpretato molte di queste vicende, aggiungendo qualche riga di commento per riflettere sul loro significato e sul loro valore.

    Ci auguriamo che dopo aver letto queste storie sarete in grado di assimilare i piccoli miracoli che avvengono nelle vostre vite con una mente più aperta e con un diverso modo di vedere. Come scoprirete, le coincidenze possono nutrire in tempi di fame, illuminare in tempi di confusione e confortare in tempi di bisogno.

    Si racconta la storia di un sant’uomo che irradiava un insolita aura di pace interiore e di felicità. Una luce ultraterrena, quasi celestiale splendeva dal suo corpo e attraeva vaste folle di persone che lo seguivano dovunque. “Benedetto”, gli gridavano, “sei tu Dio?” “No”, rispondeva. “Sei un angelo?” “No.” “Sei un profeta?” “No, mi sono semplicemente risvegliato.”

    Ci auguriamo che Piccoli miracoli vi risveglierà alla ricca promessa di un universo generoso e allo splendore che giace addormentato nelle vostre anime. Le coincidenze sono dovunque e possono avvenire in qualsiasi momento. Quando la vostra anima sarà pronta, succederanno. Tutto ciò che vi si chiede è di aprire i vostri cuori.

 

Nota: I nomi seguiti da un asterisco sono stati cambiati.

 

    Quell’anno, a New York, l’inverno si prolungò pigramente fino ad aprile. Vivendo da sola ed essendo cieca, avevo passato la maggior parte di quei mesi in casa.

    Alla fine, un giorno, il freddo lasciò il passo alla pri­mavera, che riempì subito l’aria con un profumo vivace e penetrante. Fuori dalla finestra che dava sul cortile, un uccellino continuava a cinguettare felice, quasi invitan­domi a uscire.

    Dopo aver preso il bastone a tre rebbi, uscii allegra­mente sulla veranda e mi diressi subito sul marciapiede. Sollevai il viso verso il sole, e sorrisi godendomi il suo calore avvolgente.

    Mentre camminavo lungo la mia strada — una strada senza uscita — il vicino di casa mi dedicò un musicale “Salve” e mi chiese se avevo bisogno di un passaggio. “No, grazie”, risposi. “Le mie gambe hanno riposato per tutto l’inverno e le mie giunture hanno bisogno di un po’ di attività, quindi farò una passeggiata.”

    Quando raggiunsi l’angolo, aspettai, come al solito, che arrivasse qualcuno che mi facesse attraversare la stra­da quando il semaforo fosse diventato verde. Sembrò passare molto più tempo del normale prima di sentire le auto fermarsi, comunque nessuno si avvicinò per aiutar­mi.

    Mentre continuavo ad aspettare pazientemente, incominciai a canticchiare un motivetto che avevo impara­to da bambina. Era una canzoncina di “benvenuto alla primavera” che avevo imparato a scuola.

    All’improvviso, una voce maschile ben modulata mi parlò. “A quanto pare è una persona molto allegra!” disse. “Posso avere il piacere della sua compagnia fino all’altro lato della strada?” Colpita dalla sua cavalleria, annuii sor­ridendo, e mormorai un “Sì” a malapena udibile.

    L'uomo mi prese gentilmente il braccio e scendem­mo insieme dal marciapiede. Mentre attraversavamo la strada, parlammo delle solite cose e di quanto fosse bel­lo essere vivi in una giornata simile. Dato che avevamo lo stesso passo, era difficile dire chi accompagnasse chi.

    Avevamo appena raggiunto l’altro marciapiede che i clacson incominciarono a suonare, indice sicuro che il semaforo adesso era verde per gli automobilisti. Giran­domi verso di lui, stavo per aprire la bocca per ringra­ziarlo del suo aiuto e della sua compagnia. Ma prima che potessi pronunciare una sola parola, fu lui a parlare.

    “Non so se si rende conto”, disse, “quanto sia piacevole trovare una persona allegra come lei disposta ad accom­pagnare un cieco come me dall’altra pane della strada.”

    Non ho mai scordato quel giorno di primavera.

 

Commento

    Talvolta, quando ci sentiamo soli nell’universo, Dio ci manda un “gemello” — una nostra immagine riflessa — per cancellare dentro di noi la sensazione di essere di­versi o isolati da tutti e da tutto.

 

    Nell’inverno del 1979, cominciai a lavorare con un consulente familiare per cambiare la posizione che occupavo all’interno della mia famiglia. Essendo un’esperta terapeuta a mia volta, capivo bene che un obiettivo simile non era da prendersi alla leggera. Infatti avevo puntualmente previsto la mia stessa resistenza ai cambiamenti, proprio come le richieste insistenti perché tornassi quella di una volta. Nonostante le mie acute capacità intellettuali, ero ingenua e impreparata all’avventura. Nessuno mi aveva avvertita delle contromosse cosmiche.

    Che cos’è una contromossa cosmica? A mio avviso; non è altro che una reazione del cosmo che vuole farci tornare quelli che eravamo una volta. E qualcosa di diverso, e di più grande delle solite forme di resistenza ai cambiamenti descritte nella letteratura sulla famiglia. Una contromossa cosmica è un atto che gli dei stessi compiono quando osiamo disturbare il nostro universo o invitiamo chi ci sta vicino a farlo. Per quanto mi riguarda la mia famiglia.

    Quando iniziai a lavorare con il terapista, il mio obiettivo a lungo termine era quello di stabilire un rapporto emotivamente stretto con i miei genitori. Prima di quel momento, il mio rapporto con mia madre era andato a scapito di quello con mio padre che era stato costretto a occupare una posizione estremamente emarginata.

    In effetti per i padri della nostra famiglia era stato così per diverse generazioni, mentre madri e figlie erano legate da un profondo senso di lealtà. E io, semplicemente, non avevo mai nemmeno considerato l’idea di poter aver un rapporto diverso con papà.

Per tutta la vita l’eminente psichiatra Carl Jung si interessò alle coincidenze — un interesse nato in parte dalla sua esperienza come terapeuta. Una volta, stava curando un uomo di cinquant’anni quando questi gli raccontò che la moglie, quando erano morte sua madre e sua nonna, aveva visto uno stormo di uccelli apparire improvvisamente davanti alla finestra della camera in cui erano decedute.

    La cura di Jung delle nevrosi di quell’uomo ebbe successo e lo psichiatra stava per interrompere la terapia quando, improvvisamente, il paziente incominciò ad accusare alcuni strani dolori. Benché non sembrasse in pericolo, i sintomi che accusava convinsero lo psichiatra che fosse ammalato di cuore e lo mandò subito da uno specialista per una visita accurata. Ma lo specialista, dopo averlo visitato, lo trovò in perfette condizioni fisiche e scrisse una nota a Jung con la sua diagnosi. Mentre tornava a casa dalla visita, l’uomo ebbe un collasso.

    Mentre il paziente veniva portato a casa morente, sua moglie era già in uno stato di profonda ansia perché poco dopo che il marito era uscito di casa, uno stormo di uccelli aveva circondato la loro casa. Ricordando che negli altri due casi in cui era successo il loro arrivo aveva preannunciato la morte di sua madre e di sua nonna, si spaventò molto e la sue paure furono anche troppo presto giustificate e confermate.

     In un’altra occasione, Jung aveva in cura una donna che sembrava impermeabile a ogni trattamento. La difficoltà stava nel fatto che la paziente — una signora molto colta ed estremamente razionale — pensava di saperla più lunga di chiunque altro. Lo psichiatra si augurava che nella sua vita avvenisse un qualche episodio assolutamente irrazionale e inaspettato che riuscisse a perforare la corazza che si era costruita attorno. Un giorno, la paziente gli stava raccontando uno strano sogno che aveva fatto — un sogno in cui riceveva un prezioso gioiello, uno scarabeo d’oro — quando sentì un lieve rumore ritmato contro la finestra. Voltatosi, Jung notò un insetto dallo strano aspetto che sembrava bussare al vetro. Era uno scarabeo i cui colori cangianti verdi e dorati lo facevano assomigliare a uno scarabeo d’oro. Jung porse lo scarabeo alla paziente con queste parole: “Ecco il suo scarabeo”. Anni dopo, quando presentò questo caso ad altri colleghi, dichiarò che, grazie a quella strana coincidenza, aveva finalmente ottenuto il risultato sperato: aveva spezzato la resistenza intellettuale della paziente che era riuscita così a guarire. Ma non mi è mai più capitato niente di simile”, concluse lo studioso.

    Molte altre strane coincidenze e storie straordinarie sono state registrate e analizzate da Jung, che dedicò un enorme quantità di tempo ed energia a studiare questo fenomeno e coniò persino un termine per descriverlo: “sincronismo”; una parola di uso comune oggigiorno e definita come “la coincidenza significativa di due o più eventi in cui agisce qualcosa di diverso dalla probabilità”.