IL CASO E LA NECESSITÀ

di Jacques Monod

Mondadori

 

Nulla di simile per il fiume o per la roccia che sappiamo o pensiamo modellati dal libero gioco di forze fisiche alle quali non sapremmo attribuire alcun "progetto".

 

Gli oggetti naturali che risultano invece dal gioco fortuito delle forze fisiche?

 

TELEONOMIA: oggetti dotati di un progetto.

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Macchine che si costruiscono da sé.

Struttura che testimonia un determinismo autonomo, preciso, rigoroso, che implica una “libertà” quasi totale verso agenti o condizioni esterne, capaci di ostacolare questo sviluppo ma non di dirigerlo né di imporre all’oggetto vivente la sua organizzazione. In virtù del carattere autonomo e spontaneo dei processi morfogenetici che edificano la struttura macroscopica degli esseri viventi, questi ultimi si distinguono in modo assoluto dagli oggetti artificiali come pure, d’altronde, dalla maggior parte degli oggetti naturali la cui morfologia macroscopica è dovuta, in larga misura, all’azione di agenti esterni. Ma vi è un’eccezione, costituita ancora una volta dai cristalli la cui caratteristica geometria riflette le interazioni microscopiche interne all’oggetto stesso. In base a questo solo criterio, dunque, i cristalli verrebbero classificati tra gli esseri viventi, mentre artefatti e oggetti naturali, gli uni e gli altri forgiati da agenti esterni, apparterrebbero a un’altra classe.

Il fatto che, in base a questo criterio, come pure a quelli di regolarità e ripetitività, le strutture cristalline debbano essere avvicinate a quelle degli esseri viventi potrebbe costituire materia di riflessione per il programmatore, anche digiuno di Biologia moderna: egli dovrebbe chiedersi se le forze interne che conferiscono agli esseri viventi la loro struttura microscopica non abbiano per caso la stessa natura delle interazioni microscopiche delle morfologie cristalline.

 

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Ma ogni progetto particolare, qualunque esso sia, ha senso soltanto in quanto è parte di un progetto più generale. Tutti gli adattamenti funzionali degli esseri viventi, al pari di tutti gli artefatti di loro produzione, realizzano progetti particolari che si possono considerare come aspetti o frammenti di un unico progetto primitivo, cioè la conservazione e la moltiplicazione della specie.

 

Severa censura del postulato di oggettività.

 

Per essere più espliciti, si tratta dell'idea darwiniana che la comparsa, l'evoluzione e il progressivo affinamento di strutture sempre più fortemente teleonomiche sono dovuti al sopraggiungere di perturbazioni in una struttura già dotata della proprietà di invarianza, e quindi capace di "conservare il caso" e di subordinarne gli effetti al gioco della selezione naturale.

 

L'invarianza è protetta, l'ontogenesi guidata, l'evoluzione orientata.

 

Pag. 36, 37, 38, 39

Il vitalismo metafisico.

 

Il più illustre sostenitore di un vitalismo metafisico è stato indubbiamente Bergson. E’ noto che, grazie a uno stile seducente, a una dialettica metaforica priva di logica ma non di poesia, la sua filosofia ha incontrato un immenso favore. Sembra invece che, al giorno d’oggi, essa sia quasi totalmente screditata mentre, ai tempi della mia giovinezza, non si poteva nemmeno sperare di superare l’esame di maturità senza aver letto L’evoluzione creatrice. E’ bene ricordare che questa filosofia poggia interamente su una certa idea della vita concepita come uno ‘slancio’, come una ‘corrente’ che, radicalmente distinta dalla materia inanimata, è tuttavia in lotta con essa e la ‘attraversa’ per costringerla ad organizzarsi. A differenza di quasi tutti gli altri vitalismi o animismi, il vitalismo di Bergson non è finalistico. Esso si rifiuta di racchiudere in una qualsiasi determinazione la spontaneità essenziale della vita. L’evoluzione, che si identifica con lo slancio vitale stesso, non può dunque avere né cause finali né cause efficienti. L’uomo rappresenta lo stadio supremo a cui è giunta l’evoluzione, ma senza averlo cercato o previsto: egli è piuttosto la manifestazione e la prova della totale libertà dello slancio creatore.

A questo concetto ne è legato un altro, fondamentale per Bergson: l’intelligenza razionale è uno strumento di conoscenza adattato in modo speciale a dominare la materia inerte, ma assolutamente incapace di comprendere i fenomeni della vita. Soltanto l’istinto, consostanziale allo slancio vitale, può consentire un’intuizione diretta, globale. Perciò qualunque discorso analitico e razionale sulla vita è senza senso o, meglio, fuori tema. Il notevole sviluppo dell’intelligenza razionale in Homo sapiens ha provocato un grave e increscioso impoverimento delle sue facoltà intuitive, la cui ricchezza noi oggi dobbiamo tentare di ricuperare. Non cercherò di discutere questa filosofia che, d’altronde, non si presta neppure a discussioni. Chiuso nei confini della logica, scarsamente dotato di intuizioni generali, me ne sento incapace, per quanto consideri l’atteggiamento di Bergson tutt’altro che insignificante. La rivolta, più o meno cosciente, contro il razionale e l’importanza attribuita all’Es a spese dell’Io (per non parlare della spontaneità creatrice) sono caratteristiche del nostro tempo.

Se Bergson avesse usato un linguaggio meno chiaro, uno stile più ‘profondo’, oggi lo si leggerebbe ancora.

 

Il vitalismo scientistico.

 

I sostenitori del vitalismo ‘scientistico’ sono stati numerosi e annoverano nelle loro file scienziati di grande valore. Ma, mentre una cinquantina d’anni orsono, i vitalisti si reclutavano tra i biologi (il più noto dei quali, H. Driesch, abbandonò l’embriologia per dedicarsi alla filosofia), oggi essi provengono soprattutto dalle scienze fisiche, come Elsasser e Polanyi. Ed è comprensibile che la stranezza degli esseri viventi abbia colpito i fisici in misura ancora maggiore dei biologi. Per quanto riguarda, ad esempio, Elsasser, il suo atteggiamento è in sintesi il seguente: le proprietà strane degli esseri viventi, l’invarianza e la teleonomia, non violano probabilmente la fisica, ma esse non sono spiegabili appieno in termini di forze fisiche e di interazioni chimiche, rivelate dallo studio dei sistemi non viventi. E’ dunque indispensabile ammettere che alcuni principi – i quali si sommerebbero a quelli della fisica – operano nella materia vivente e non nei sistemi non viventi dove di conseguenza essi, come princicpi elettivamente vitali, non possono essere reperiti. Sono questi principi (o leggi biotoniche, per usare la terminologia di Elsasser) che è necessario chiarire.

Anche il grande Nils Bohr non scartava, a quanto pare, tali ipotesi pur non pretendendo di dimostrare che erano necessarie. Lo sono esse veramente? E’ qui, in definitiva, il nocciolo della questione, secondo quanto sostengono in particolare Elsasser e Polanyi. Il meno che si possa dire delle argomentazioni di questi fisici è che mancano singolarmente di rigore e di fermezza.

I temi delle loro discussioni riguardano ciascuna delle prorietà singolari degli esseri viventi. Per quanto concerne l’invarianza, il suo meccanismo è oggi abbastanza noto da consentirci di affermare che, per interpretarla, non è necessario alcun principio non fisico (si veda capitolo VI).

Resta la teleonomia  o, più esattamente restano i meccanismi morfogenetici che costruiscono le strutture teleonomiche. E’ verissimo che lo sviluppo embrionale è uno dei fenomeni in apparenza più miracolosi di tutta la Biologia ma è pur vero che esso, mirabilmente descritto dagli embriologi, sfugge ancora in grande parte (e per ragioni tecniche) alle analisi genetica e biochimica, le sole, con ogni probabilità, che potrebbero consentire di interpretarlo. L’atteggiamento dei vitalisti i quali sostengono che le leggi fisiche sono, o comunque si riveleranno insufficienti a spiegare l’embriogenesi non è dunque giustificato da conoscenze precise o da osservazioni compiute, ma solo dalla nostra attuale ignoranza.

In compenso le nostre conoscenze relative ai meccanismi cibernetici molecolari, che regolano l’attività e l’accrescimento delle cellule, hanno fatto notevoli progressi e contribuiranno senza dubbio in un prossimo futuro all’interpretazione dello sviluppo. Riserviamo al capitolo IV la discussione su questi meccanismi, il che ci offrirà l’occasione di tornare su certe argomentazioni dei vitalisti. Per sopravvivere, al vitalismo è necessario che continuino a esistere nella Biologia, se non paradossi veri e propri, almeno ‘misteri’. Gli sviluppi che si sono registrati in questi ultimi vent’anni nella biologia molecolare singolarmente il loro numero, lasciando praticamente aperto alle speculazioni vitalistiche soltanto il campo della soggettività, cioè quello della coscienza stessa.

Non è troppo arrischiato prevedere che in questo ambito, per il momento ancora ‘riservato’, le speculazioni si dimostreranno sterili come in tutti gli altri campi in cui esse sono state condotte fino a oggi.

 

Le concezioni animistiche, che risalgono all’infanzia dell’umanità e che sono forse anteriori alla comparsa di Homo sapiens, affondano ancora radici profonde e vigorose nell’animo dell’uomo moderno.

I nostri antenati potevano certamente percepire la stranezza della loro condizione di esseri viventi soltanto in modo molto confuso.

Pag. 41, 42, 43

 

Il progressismo scientistico.

 

La filosofia biologia Teilhard de Chardin non meriterebbe di soffermarvisi se non fosse per il successo incontrato anche in ambienti scientifici, che testimonia l’angoscia, il bisogno di riannodare quell’alleanza. E Teilhard la riannoda senza tergiversare. La sua filosofia, come quella di Bergson, è interamente basata su un postulato evoluzionistico iniziale ma, contrariamente a Bergson, egli ammette che la fora evolutiva opera nell’universo intero, dalle particelle elementari alla e galassie: la materia ‘inerte’ non esiste, e quindi non c’è distinzione di essenza tra materia e vita. Il desiderio di presentare come ‘scientifica’ questa concezione indusse Teilhard a fondarla su una nuova definizione dell’energia. Quest’ultima sarebbe distribuita in qualche modo secondo due vettori, uno dei quali rappresenterebbe (suppongo) l’energia ‘ordinaria’, metre l’altro corrisponderebbe alla forza di ascendenza evolutiva. L biosfera e l’uomo sono i prodotti attuali di questa ascendenza lungo il vettore spirituale dell’energia. Tale evoluzione deve continuare fino a che tutta l’energia sia concentrata, secondo questo vettore, nel ‘punto (’.

Nonostante la logica incerta di Teilhard e il suo stile faticoso, anche tra coloro che non accettano interamente la sua ideologia certuni riconoscono in essa una certa grandezza poetica. Per quanto mi riguarda, sono rimasto colpito dalla mancanza di rigore e di austerità intellettuale della sua filosofia in cui scorgo, soprattutto, un sistematico compiacimento nel voler conciliare e transigere a ogni costo. Può darsi, dopotutto, che non per niente egli appartenesse a quell’ordine religioso del quale, tre secoli prima, Pascal criticava il lassismo teologico.

Beninteso, l’idea di rinnovare l’antica alleanza animistica con la Natura o di stringerne una nuova, grazie a una teoria universale secondo la quale l’evoluzione della biosfera fino all’uomo avverrebbe nella continuità, senza interruzione della stessa evoluzione cosmica, non è stata scoperta da Teilhard. E’ infatti l’idea centrale del progressismo scientistico del XIX secolo. La si ritrova nel cuore stesso del positivismo di Spencer nel materialismo dialettico di Marx e Engels.

La forza ignota e inconoscibile che, secondo quanto afferma Spencer, opera in tutto l’universo, per creare in esso varietà, coerenza, specializzazione, ordine, ha in definitiva la stessa funzione dell’energia ‘ascendente’ di Teilhard: la storia dell’uomo è il prolungamento dell’evoluzione biologica che, a sua volta, fa parte dell’evoluzione cosmica. Grazie a questo principio unico, l’uomo ritrova infine nell’universo un posto preminente e necessario, con la certezza del progresso a cui è sempre destinato.

L forza differenziatrice di Spencer (come l’energia ascendente di Teilhard)  rappresenta evidentemente la proiezione animistica. Per dare un senso alla Natura, perché l’uomo non sia separato da essa da un insondabile abisso, per renderla infine decifrabile e intelligibile, era necessario dotarla di un progetto. In mancanza di un’anima per alimentarlo, si inserisce allora nella Natura una ‘forza’ evolutiva, ascendente, il che coincide, di fatto, con l’abbandono del postulato di oggettività.

 

Tra le ideologie scientistiche del XIX secolo, la più possente, quella che ancora oggi esercita una profonda influenza anche al di fuori dell’ambito pur vasto dei suoi sostenitori, è evidentemente il marxismo.

(…)                                                         

 

... Tutti gli avvenimenti, tutti i fenomeni, sono soltanto manifestazioni parziali di un'idea che pensa se stessa.

Pag. 45

(…)

Il mondo esterno "riflesso del pensiero umano".

 

 

Pag. 52 (…)

Tutte le religioni, quasi tutte le filosofie, perfino una parte della scienza, sono testimoni dell'instancabile, eroico sforzo dell’umanità che nega disperatamente la propria contingenza.

 

Pag. 54 (…)   stereospecifico   (…)

Pag. 56 (…)  elettività   (…)

 

Pag. 65 (…) Il concetto di complesso stereospecifico non covalente... ha un'importanza fondamentale nell'interpretazione di tutti i fenomeni di scelta, di discriminazione elettiva, che caratterizzano gli esseri viventi. (…)

 

Pag.69 (…) Una rete cibernetica assicura la coerenza funzionale dell'apparato chimico intracellulare. (…)

 

Pag. 99 e 100 (…) Non è necessario conoscere i particolari per comprendere il profondo significato del misterioso messaggio rappresentato dalla sequenza dei radicali amminoacidici in un filamento polipeptidico. Messaggio che, secondo tutti i criteri possibili, sembra scritto a caso. (…)

 

Pag. 118 (…) La selezione agisce sui prodotti del caso e non può alimentarsi altrimenti, essa opera però in un campo di necessità rigorose da cui il caso è bandito. (…)

 

Pag. 122 e 123 (…) minima frazione delle possibilità che la "roulette" della Natura gli offriva in numero astronomico. (…)

l'inestinguibile ricchezza della fonte di eventi casuali. (…)

Pag. 141 (…) La probabilità a priori che, fra tutti gli avvenimenti possibili nell'universo, se ne verifichi uno particolare è quasi nulla. Eppure l'universo esiste, bisogna dunque che si producano in esse certi eventi strani la cui probabilità (prima dell'evento) era minima. (…)

entropia negativa o neghentropia.