IL DONO OSCURO

Nel mondo di chi non vede

Di John M. Hull

Garzanti

 

Dal caso alla necessità

22 dicembre 1985

    C’è un senso in tutto questo? C’è una necessità, nel fatto che sono diventato cieco? Spesso le altre persone mi pongono in­terrogativi di questa natura.

    La mia cecità è il prodotto di migliaia di piccoli fatti acci­dentali, che nessuna logica può trasformare in un cammino fa­tale destinato a condurmi, da ultimo, alla cecità. Se ora ripen­so al passato, riesco a vedere una concatenazione degli eventi che in parte può configurarsi come un percorso in quella dire­zione; ma qualsiasi spazio, una volta attraversato, risulta a posteriori solcato da tracce e strade. Quando si guarda in avanti, non si vedono strade, ma solo un numero quasi infinito di possibilità.

    La parola “provvidenza” ha il significato di “vedere innanzi a sé” e tradizionalmente si riferisce all’idea che Dio ci conduce lungo un cammino prestabilito. Ritengo che questa concezio­ne farebbe meglio a chiamarsi retrovidenza, nel significato di “vedere dietro di sé”, perché è solo quando si guarda indietro che il caso acquista un senso. Il significato di un evento si dà soltanto dopo che l’evento ha avuto luogo. È per questa ragio­ne che la domanda sul perché questo mi sia successo è per cer­ti versi fuorviante. Questo è accaduto perché a me è capitato di nascere nel ventesimo secolo e non nel diciannovesimo. Se fossi nato cento anni fa avrei indubbiamente perso la vista in età molto più precoce; se fossi nato un secolo dopo, indubbia­mente sarei riuscito a conservarla. In altre parole, si possono sempre trovare migliaia di piccoli “se” e “ma” capaci di spie­gare, almeno in parte, perché nella vita di un individuo si sia  verificato un determinato evento. Ma se con quel “perché” si intende invece una motivazione di ordine superiore, come se la cecità fosse tutt’uno con il mio destino individuale, io non ci credo.

   Ognuno dei piccoli eventi che hanno preceduto il grande evento è stato puramente casuale, e la loro sequenza non è sta­ta caratterizzata da un livello di probabilità più alto di quello che concretamente andava stabilendosi man mano che cia­scun evento preparava il terreno per quello successivo.

    La fede è un agire creativo. E per mezzo della fede che tra­sformiamo gli eventi casuali della nostra vita in segni del de­stino.

    La felicità è casuale, ma acquista un significato allorché la casualità viene trasfigurata attraverso una rievocazione del­le nostre immagini.

    Ciò, in ogni caso, non è il risultato di uno sforzo cosciente, o per lo meno non e vissuto come tale. Le immagini hanno una vita propria, e si sperimenta una vita dotata di senso solo al­lorché queste immagini danno ordine al contenuto accidentale dell’esistenza. La cosa più importante della vita non è la felici­tà ma il senso. La felicità è il prodotto di concatenazioni di eventi accidentali che hanno una tendenza intrinseca alla rea­lizzazione del nostro benessere. La cecità non mi rende felice. Io non l’ho scelta, né mi è stata inflitta come punizione. E nondimeno, pur essendo un evento accidentale, si potrebbe ri­vestirla di un senso. La retrovidenza è una capacità visionaria donataci dallo Spirito Santo.

 

Best Seller/ Due sopravvissute ai lager hanno raccolto in volume centinaia di eventi inspiegabili. Con una tesi in fondo

 

Se dietro una coincidenza fa capolino il soprannaturale

 

“No, non si tratta di casualità e di scherzi del destino,”, dicono le autrici, “ma delle testimonianze dell’irruzione di Dio nella nostra vita”.

   Come uno squarcio nella nostra dimensione umana, da dove si affacci un elemento che i religiosi chiamano sovrannaturale e i laici “fenomeno inspiegabile”. Comunque sia è un’interruzione del principio di causa-effetto e testimonia che non proprio tutto è spiegabile con logica, ma solo facendo ricorso a quello che  i greci presocratici chiamavano intuizione, ovvero, en teos: dentro lo spazio divino.